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Val d'Arno superiore

Comuni di:

Bucine (AR), Castelfranco Pian Di Sco’ (AR), Castiglion Fibocchi (AR), Cavriglia (AR), Figline e Incisa Val D’arno (FI), Laterina (AR), Loro Ciuffenna (AR), Montevarchi (AR), Pelago (FI), Pergine Valdarno (AR), Reggello (FI), Rignano sull’Arno (FI), San Giovanni Valdarno (AR), Terranuova Bracciolini (AR)

Cartina Val d'Arno superiore
Mappa

«E infra essa terra si vede le profonde segature de’ fiumi che quivi son passati, li quali discendano dal gran monte di Prato Magno: nelle quali segature non si vede vestigio alcuno di nichi o di terra marina».
(Leonardo Da Vinci, Codice Hammer)

 

È così che Leonardo si esprime in merito ai ritrovamenti di conchiglie, è così che parla della natura dei terreni alluvionali del Valdarno di sopra. Ma l’amore del Genio per il territorio in cui ha vissuto non si riflette sono nelle parole dedicate all’Arno e ai fossili.

Paesaggi che ha amato e che, secondo alcuni, sono rappresentati anche nello sfondo scenografico della Gioconda . Al di là delle verità storiche o di certe interpretazioni, quel che conta, qua, è il valore assoluto di questo paesaggio toscano che le trasformazioni del tempo e dell’uomo non hanno mai snaturato del tutto.

L’essenza, intima e mistica insieme, è sopravvissuta. Un territorio che ha mantenuto la sua bellezza anche quando all’agricoltura si sono aggiunte le fortificazioni e le attività manifatturiere. Tutto ha trovato il suo spazio, assecondando un ordine ideale.  

Già Tito Livio, da storico qual era, descriveva il territorio come particolarmente produttivo e ricco. Ma nel XVI secolo anche i viaggiatori e i geografi testimoniano l’intensità colturale valdarnese. Leandro Alberti scriveva «et quivi al presente si vedono i luoghi tutti coltivati, e lavorati che paiono vaghi giardini».

Una percezione condivisa anche dal Granduca Pietro Leopoldo , che riconosceva come «il Valdarno di Sopra» fosse «una delle più fertili province della Toscana, popolatissima e piena di gente industriosa» . Aveva di fronte a sé belle e fitte coltivazioni, grandi ville signorili, estese fattorie, case coloniche comode e mezzadri che, parole sue, «non si lamentano» .

Il Valdarno, ben oltre le proprie attività, essendo terra di mezzo ha da sempre rappresentato la sintesi tra la bellezza delle aree chiantigiani e le suggestive attrazioni di Firenze. Non era - e non è - solo una tappa di avvicinamento verso la città. O, meglio, era questo e anche molto di più.

Lo sguardo cambia quando si posa sulle “terre nuove” con cui Firenze marchiò il possesso della vallata fortificando borghi preesistenti (come Montevarchi) o fondandone di nuovi (San Giovanni, Castelfranco, Terra Nuova).

In questi paesaggi variabili costituiti da boschi, coltivi, balze e massicci, all’attività agricola si somma quella extra-extragricola , come gli opifici dell’Arte della Lana lungo l’Arno, la lavorazione dei cappelli di feltro di Montevarchi o l’industria vetraria a Figline. Non è un caso, quindi, che nel 1911 San Giovanni Valdarno fu una delle prime (e poche) città industriali della Toscana.

Il comprensorio del Valdarno Superiore, in epoca preistorica, era un’area di transito poco sfruttata per il popolamento stanziale nonostante l’abbondanza di acque e di selvaggina. Non è chiaro se, come e quando gli Etruschi siano arrivati per la prima volta fin qua. Sappiamo però che le loro tracce sono legate alla toponomastica (tra i vari toponimi ricordiamo Avane, Restone, Norcenni e Ciuffenna).

Dalla seconda metà del III secolo a.C. ha inizio l’occupazione romana. Furono proprio loro, i Romani, ha dare un forte impulso all’agricoltura e alla pastorizia, sfruttando i terreni particolarmente fertili e le abbondanti quantità di bestiame. A ricevere un forte impulso fu poi la viabilità: la prima grande arteria a essere costruita, ricalcando in buona parte percorsi preesistenti lungo la riva destra dell’Arno, è la Cassia Vetus, che da Arezzo si immette nel Valdarno presso Ponte a Buriano.

Durante l’alto medioevo, indipendentemente dalle prerogative religiose, pievi e monasteri si impongono anche come fattori di aggregazione del potere sul territorio. E così, proseguendo su questo percorso di crescita, con l’occupazione fiorentina si arriva alla costituzione delle “terre nuove” di Castel San Giovanni (San Giovanni Valdarno), Castello Franco (Castelfranco di Sopra), e di Castel Santa Maria (Terranova Bracciolini). Tre castelli cinti da alte mura che hanno però una connotazione prettamente agricola (pur senza rinunciare al ruolo di avamposto militare).

Tra il XIII e il XIV secolo si sviluppano anche molti mercatali (ad esempio Montevarchi e Figline) che acquisiscono sempre più importanza come centri primari di scambi e traffici. La grande crescita di questi poli commerciali determina, sul finire del XIV secolo, un massiccio spopolamento della montagna valdarnese, con conseguente migrazione della popolazione verso le città mercantili del fondovalle.

Il Val d’Anro di Sopra acquistò una sua unità regionale già nel 1408. Solo dopo le vicende napoleonica l’unità della valle fu spezzata, con l’assegnazione delle Podesterie di Montevarchi e Bucine e Laterina al Commissariato di Arezzo, cui seguì l’istituzione del Compartimento Aretino (1825) che, trasformatosi con il Regno d’Italia in Provincia, sottrasse all’amministrazione fiorentina gran parte del Valdarno di Sopra.

Il Valdarno Superiore è strutturato attorno alla media Valle dell’Arno (cui al limite meridionale si aggiunge la Valle dell’Ambra) e delimitato da due catene asimmetriche di rilievi: i Monti del Pratomagno e i Monti del Chianti, che fanno parte della più lunga e articolata dorsale Abetona-Cetona e che dividono la valle dal vicino territorio del Chianti. Nella prima fase della sua storia, la vallata era presumibilmente parte di un sistema idrografico parallelo all’Appennino insieme al Mugello, al Casentino e alla Val di Chiana.

Il fronte montano, climaticamente già anticipatore dell’Appennino, è evidente, ma allo stesso tempo dominante su territori di intenso sviluppo e denso insediamento. Questa struttura determina corridoi visuali ben definiti per i centri abitati e le infrastrutture viarie, e permette inoltre una stratificazione di usi del suolo che era alla base delle strutture rurali storiche.

L’asimmetria dei rilievi che contornano la vallata è notevole, col Pratomagno a nord-est e la collina a versanti dolci sulle Unità Toscane, che forma un fascia sottile, tipica dei paesaggi rurali.

Geograficamente, e nella sua storia geologica, il Valdarno di Sopra è un conduttore, un percorso di collegamento. Sia sulla scala geologica sia su quella antropica, il territorio ha assunto recentemente questo ruolo ed è ancora in piena evoluzione.

Le ampie fasce che si estendono tra il fiume e la collina rocciosa o la montagna sono un complesso mosaico e testimoniano dell’evoluzione della valle, determinata in primo luogo dalla separazione tra aree in cui le antiche superfici sono parzialmente conservate e quelle in cui l’erosione è l’elemento dominante.

Le complesse strutture geologiche hanno determinato la sussistenza di paesaggi di valore, anche a brevissima distanza dall’asse principale, mentre l’apertura del bacino dell’Arno moderno ha completamente alterato gli equilibri geomorfologici della vallata.

Il Valdarno Superiore, per tutte queste sue caratteristiche, presenta una varietà di paesaggi unici, a cominciare dall’area di Vallombrosa e dalle “balze”, che si trovano in zone naturali protette. Come a Reggello, dove l’area si estende fino alle pendici valdarnesi del Pratomagno, tra il torrente Resco e il Ciuffenna.

Le formazioni più spettacolari sono note come i “Pilastri di Poggitazzi e Piantravigne”. Si tratta di un piccolo borgo suggestivo circondato da scarpate di erosione e collegato ai territori circostanti da ponti che attraversano le forre incassate.

Ponti, ville e castelli rappresentano il completamento ideale di un paesaggio ritenuto mistico. Una trascendenza artistica e percettiva che va ben oltre la storia, che però ci racconta – mai avara di suggestioni – di come anche Leonardo Da Vinci sia rimasto affascinato dalle caratteristiche naturali del Valdarno Superiore.

Il Genio soggiornò qua dal 1502 (le sue vedute sono custodite a Windsor). C’è chi è pronto a giurare che parte di quella suggestione sia stata tradotta nel paesaggio, nei pinnacoli e nelle guglie degli sfondi indimenticabili della Gioconda e della Vergine delle Rocce. E c’è perfino chi vuol riconoscere nel ponte che s’intravede sullo sfondo scenografico, immerso nel celebre ciclo dell’acqua alle spalle della Monna Lisa, il Ponte di Valle presso Laterina.

Anche a non voler tirare nuovamente in ballo Leonardo, che da bravo ingegnere militare nella sua celebre veduta del Valdarno non aveva dimenticato di porre in posizione dominante i castelli sulla vallata, la funzione difensiva delle terre nuove era ben chiara.

Ma a prevalere, qua, è il Valdarno più intimo e intimista, quello vissuto come un’allegoria della vita, capace di far nascere sentimenti universali. Emilio Donnini condensa l’attesa della veduta della città e della fine del viaggio nella sua struggente ripresa del Valdarno a sera.

E, proseguendo sull’onda mistica del paesaggio, ecco Louis Gauffier, che lavorò a ben due serie diverse sul medesimo soggetto, come a farne il sunto della sua esperienza italiana ritraendo sia le cascate sua l’abbazia di Vallombrosa.

Il continuo trascolorare delle nubi e dei cieli sulle colline è ancora oggi uno dei punti di maggior fascino del paesaggio toscano, apparentemente quieto e in realtà continuamente variabile. Con affine sensibilità hanno fermato nel tempo le immagini dell’Arno e di Vallombrosia sia John Smith sia Carlo Böcklin.

Anche Silvestro Lega, a San Prugnano, aveva ristretto il campo a uno scorcio di collina, facendone un saggio interiore, preso di maggio. Ovvero quando i papaveri punteggiano i prati e le foglie, al calar del sole e quando il bosco si fa cupo, così come le erbe squillano di verde nuovo. Uno scorcio simile di Valdarno è colto da Raffaello Sernesi. Con lui il paesaggio è di nuovo caldo e classico, senza sgambetti sentimentali.

Imprescindibile la presenza delle nuove “terre murate”. Ovvero quelle stesse fondazioni che a inizio Settecento Vincenzo Ferrati immerge in coltivi e filari alberati lungofiume e che Francesco Fontani, un secolo dopo, presenta paciose come pecore assopite sul prato.

C’è infine un particolare, uno sguardo irrinunciabile sul territorio. È quello di Giorgio Vasari, che dipinse l’Allegoria di San Giovanni Valdarno (oggi custodito a Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento). Vasari, stavolta, mette in evidenza la posizione geografica, mostrando l’asse Firenze-Arezzo e le rive dell’Arno.